il mio triangolo

Alla fine dell’anno scolastico passato in Molise siamo tornate in Inghilterra, a casa, a Manchester. Ma, prima che iniziasse la scuola, fui spedita in Italia a vivere con una zia, che non credo avessi visto più di una volta, in tutta la mia, allora, breve vita. Ero un’àncora, gettata per assicurare, un giorno, il ritorno di tutta la famiglia in Italia.

Mi sono sempre raccontata la storia che ero stata mandata a studiare in Italia perché avevo fallito l’esame del Eleven Plus. Alla fine del Sesto anno in Inghilterra si doveva, e in alcune parti del Regno Unito si deve ancora, sostenere questo esame che stabilisce la futura carriera scolastica dello studente. Passare l’esame con successo significava accedere alla Grammar School, primo passo verso una carriera che poteva portare all’Università. Non passarlo voleva dire frequentare la Technical School. Ho avuto sempre un chiaro ricordo di mio padre che mi spiegava come con i voti del mio esame, al massimo potevo ambire, un giorno, a fare la commessa. Uno dei motivi che avevano spinto i miei genitori ad emigrare era stato proprio il desiderio di dare a me ed a mia sorella la possibilità di studiare. Quel discorso si concludeva con mio padre che mi spiegava che l’unica soluzione era che io tornassi in Italia, in attesa del giorno in cui, loro tre, mi avrebbero raggiunta. Solo oggi scrivendo questa storia mi sono resa conto che questo ricordo è una mia libera ricostruzione di avvenimenti che non conoscerò mai, perché le persone che potevano raccontarmi quello che accadde non ci sono più. Come potevo aver fatto l’esame dell’Eleven Plus se l’anno precedente avevo frequentato la Quinta Elementare a Filignano? Quando era sato deciso il mio futuro e quello di tutta la famiglia? Cosa aveva scatenato questo andirivieni tra Inghilterra e Italia?

e io volavo

Avevo solo undici anni sapevo perfettamente cosa tutti si aspettavano da me: dovevo studiare seriamente, un giorno andare all’Università e avviare quel “ascensore sociale” sognato dai miei genitori. Non ho pensato neppure per un secondo, di poter rifiutare la soluzione che mio padre mi presentava. Ricordo il piacere provato per l’importanza che questo ruolo mi dava, ma ricordo anche che smisi di essere una bambina, e andai a vivere con quelli che per me erano degli estranei. È stata dura.

Scrivevo a casa tutte le settimane, e aspettavo con ansia la posta. Ricevevo una sola telefonata l’anno, per il mio compleanno. Farmi studiare in Italia costò molto ai miei genitori, non avevano soldi da spendere per le allora costosissime telefonate internazionali. Per tre anni, dal 1964 al 1967 i miei genitori mi mettevano sull’aereo per Roma, alla fine di settembre, e gli zii facevano la stessa cosa a giugno, con destinazione Londra. Non c’erano voli diretti Roma – Manchester a quei tempi, dovevamo sempre passare per Londra. Ricordo benissimo il tragitto in taxi dall’aeroporto alla stazione Vittoria. È l’unica parte di Londra che ho visto fino a quando non sono andata a Londra con mio marito molti anni dopo. Negli anni 60 del 1900, un minore non accompagnato doveva essere affidato direttamente al comandante pilota. Che momento emozionante. I comandanti erano sempre uomini affascinanti, in divisa, alti e di bel aspetto. Tutti nell’aeroporto si voltavano, sempre, a guardare quella bambina con la mano nella mano del pilota.

appartenenza

La zia con cui ero andata a vivere era la sorella preferita di mio padre. Era sposata con un uomo che si fingeva severo e brusco per nascondere il suo cuore tenero. Zio M. dopo aver lasciato l’Arma dei Carabinieri lavorava come guardia privata. Dopo sposati, gli zii avevano vissuto per molti anni a Torino e anche loro si erano trasferiti da poco a Roma. Zia A. allora non lavoravo più, ma per completare una futura pensione, faceva temporaneamente le pulizie in una casa. Per tutto il tempo che ho vissuto con loro non potevo scegliere cosa leggere. Non c’erano biblioteche pubbliche vicino casa come a Manchester, e non mi era permesso uscire da sola, così leggevo quello che leggeva mia cugina. Ero comunque fortunata perché P. sei anni più grande di me, era, ed è tuttora una buona lettrice. Di tutti i libri che ho letto in quei tre anni alcuni mi sono rimasti nel cuore. Un albero cresce a Brooklyn di Betty Smith mi rivelò che ero una emigrante. Leggendolo, imparai che c’era un mondo pieno di persone che vivevano l’emigrazione e che soffrivano più di me. Sapere che le mie esperienze di vita erano condivise da tanti altri, in tutto il mondo, mi fece sentire meno sola. Negli anni ho spesso preso in mano quel libro, in libreria. Non l’ho mai comperato. Una volta l’ho portato fino alla cassa, ma poi sono tornata indietro e l’ho riposto sullo scaffale.

Non ce la faccio proprio a rileggere un libro che ancora suscita in me emozioni così forti. L’emigrazione è una cicatrice che ancora duole.

Ho riletto però altri libri di quel periodo…

…. Continua

 

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