Essere Italiani

pigri,folli,indisciplinati,saputelli/mafiosi?

Credetemi, essere italiani non è affatto facile. Ogni volta che penso alla vita che viviamo in questo paese “benedetto da ogni bene” comincio a cantare la canzone di Luca Carboni “Ci vuole un fisico bestiale”.  Noi italiani abbiamo sulle spalle il peso di una cultura millenaria e non riusciamo a liberarcene perché quella stessa cultura ci insegna a non lasciarla andare. Google mi dice che secondo l’UNESCO più del 60% delle opere d’arte è conservato in Italia, l’Italia è il primo paese europeo per Biodiversità, se parliamo poi di cibo non c’è partita e potrei andare avanti elencando molti altri primi posti. Allora perché siamo descritti, da dopo il rinascimento come pigri, un po’ folli, indisciplinati e saputelli quando ci va bene, se no mafiosi?

una bambina italiana

Ho iniziato a cercare una risposta a questa domanda quando, bambina italiana, giocavo nel cortile della scuola a Manchester. Con i miei amici giocavo in un angolo del cortile, mentre i bambini inglesi avevano tutto il resto del cortile. Chi avesse osservato il nostro pezzo di cortile avrebbe avuto una visione chiara di cosa stava accadendo nel mondo alla fine degli anni 50 del Novecento. Mary era irlandese, Susan e Sarah erano due gemelle pakistane, dei due maschietti, di cui non ricordo il nome, uno veniva dall’India e l’altro era ebreo. Perché non giocavamo tutti insieme? Ero diversa? Noi, nell’angolo, eravamo diversi?

aliena

Per fortuna dopo quel primo insight, fui troppo occupata a crescere, a giocare, a imparare l’inglese e a dimenticare di essere italiana. Ma poi tornammo in Italia e come mio padre ha ripetuto per il resto della vita “Peggio della prima emigrazione c’è solo la seconda: quando torni a casa”. Quello è stato il momento in cui mi sono sentita un’aliena, non ero inglese in Inghilterra e non ero italiana in Italia. Ero di nuovo nell’angolo, ma questa volta ero decisa a giocare con tutti gli altri. Decisi così di darmi da fare per diventare italiana.

Per aiutarmi a imparare a leggere nella mia nuova lingua, il maestro mi prestò Pinocchio di Carlo Collodi. L’ho odiato così tanto che, anni dopo, non sono mai riuscita a leggerlo ai miei figli. Cercavo qualcosa a cui appoggiarmi, volevo essere orgogliosa di essere italiana, ma non lo trovai in quel libro. Dopo Pinocchio l’insegnante mi prestò Cuore di Edmondo De Amicis, peggio, il libro più triste della mia infanzia.

Non ho mai apprezzato, mi vergogno un po’ a dirlo, i film di Totò, Alberto Sordi o Verdone. I loro personaggi non somigliavano affatto aagli italiani che conoscevo. Non riuscivo proprio a capire perché erano felicemente ridicoli.

Avevo la mia idea di cosa volesse dire essere italiani. Percepita dalla mia personale prospettiva: quella di una bambina tormentata da due identità. 

Questo fa parte dell’immigrazione? Vero?

Recentemente ho trovato una chiara analisi dei stereotipi italiani in “Italianità” di Silvana Patriarca ed è stato un sollievo leggere che i sentimenti che hanno tormentato la mia infanzia hanno solide fondamenta nella storia e nella pedagogia. Terrò questo libro accanto a me mentre riscopro come sono diventata Italiana, leggendo libri.

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