On 31 October 2018, Louise DeSalvo prematurely died. She was a writer, a Virginia Woolf Scholar and much more. I know her only through her books, but I think of her as a dear friend. She has been inspiring me for many years now and has a special place in my heart. As a tribute to Louise, I hand to those Italians who do not speak English the translation of her speech at the presentation of Personal Effects by Nancy Caronia and Edvige Giunta at Calandra Institute NYC.
“Edi e Nancy sono sempre state molto curiose di sapere come sono diventata quella che sono e penso che tutti sappiate, per quello che ho sentito sul vostro lavoro, che io sono come tutti, in divenire, e il chi sono oggi non coincide necessariamente con chi sarò domani. Continuo a cercare di capire questa vita, che sto per lasciare. Penso che una delle cose che ho imparato, è di utilizzare la vita che ho vissuto come oggetto di meditazione, per riflettere sulla sua rilevanza. Non necessariamente rilevanza per me stessa, perché ciò mi porrebbe in un momento solipsistico e questo non ha nulla a che fare con il mio lavoro. Per fortuna, questo non ha nulla a che fare con il mio lavoro altrimenti ci sarebbe troppo di me.
Sono sempre stata interessata a come il mio lavoro possa essere rilevante per gli altri. In molti mi hanno chiesto come sono diventata una scrittrice americana e italiana del sud. Ecco quello che ho scritto
«Durante la Seconda Guerra Mondiale, dopo il rastrellamento e la detenzione degli italo-americani, nella mia famiglia, compresa me, anche se non ero ancora nata, non ancora concepita, smettono di essere italiani o meglio smettono, per quanto sia possibile, di mostrarsi come italiani. Perciò mentre cresco, anche se questo è difficile da capire, nella mia famiglia non viene mai fatto un accenno al luogo delle mie origini, e non verrà mai fatto. Non si parlerà mai delle mie radici. Io non sono nata italo-americana: non divento italo-americana se non molti anni dopo.
Ometto la mia adolescenza, durante la quale non sono consapevole di essere italiana; anche se so di avere una strana nonna che porta fazzolettoni neri <risate>.
Ometto il periodo in cui frequento la Grammar School e la High School dove l’unica persona italiana di cui si parla è Cristoforo Colombo; dove non leggo opere letterarie scritte da italiani, tanto meno da italo-americani; dove non studio la storia italiana e neppure vengo a sapere della detenzione degli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale e neppure del sequestro delle loro case e delle loro barche da pesca.
Ometto il College e l’Università, quando sento, sì, parlare del Rinascimento e di pittori come Leonardo da Vinci e Michelangelo ma non li associo all’essere italiani. Non mi identifico con loro e non considero le loro opere particolarmente significanti per me. Durante la Graduate School trovo in uno dei suoi diari Virginia Woolf che si chiede come questi capolavori possano essere stati creati dalla progenie di questi italiani, incapaci e palesemente privi di gusto. Voglio ricordare, ricordo, ma molto brevemente, perché Virginia è una donna eccezionale, mentre io sono soltanto una donna che si limita a scrivere della sua vita: “L’Italia sarebbe davvero un bel posto” disse “senza gli italiani!”, e sapete <risata>…non esiste una sola testimonianza, ‘Mark mi devi controllare se questo è vero’, che Virginia Woolf abbia mai mangiato pasta mentre era in Italia, …questa è la donna a cui ho dedicato tanti anni della mia vita lavorativa.
Ometto i primi anni del mio matrimonio, anche se ho sposato un italo-americano e il primo periodo del corteggiamento ha significato mangiare una grande quantità di pizza e ‘…ricordi?’ <inintelligibile>
Eccomi arrivata agli anni 80, sono al telefono e parlo con Jane Marcus di Virginia Woolf e la conversazione è più o meno quella che segue:
“Sarebbe interessante” dice Jane “trovare qualcuno della classe operaia come te, che scriva un saggio su Virginia Woolf per il libro che sto per pubblicare.”
“Classe operaia?” rispondo.
A quei tempi, vivo in una bella casa, in una bella cittadina e non penso proprio a me stessa come classe operaia. Così come non penso che i miei genitori facciano parte della classe operaia, anche se non ho mai nascosto i lavori svolti dalla mia famiglia.
Ha inizio così la mia ‘acculturazione’, premessa alla presa di coscienza delle mie origini del sud Italia.
Dopo i miei primi scritti su Virginia Woolf, Sara Roddick mi chiede di scrivere un saggio per Between Women che stiamo curando insieme. Saggio che verrà poi pubblicato con titolo Portrait of a Puttana as a middle age Woolf Scholar (Ritratto di una Puttana in qualità di studiosa di mezza età di Virginia Woolf).
È la prima volta che mi vedo come una italo-americana, è la prima volta che dichiaro di essere italo-americana ‘…come se non lo sapessero’.
Sono molto sorpresa da come viene accolto questo piccolo componimento che si potrebbe chiamare un memoir. Sorpresa dal fatto che può piacere, e che venga considerato coraggioso.
Questo è il saggio che non doveva essere. Dopo averlo portato a termine, l’ho fatto letteralmente a pezzi. Accadeva, prima che esistessero i computer. Non c’era un’altra copia, questo prima che mio marito lo ripescasse dall’immondizia e mi costringesse a rimetterlo insieme. La mia vita di memoirist, la mia identità come italo-americana quasi non esisteva, questa identità di memoirist italo-americana ha inizio in quel momento mentre rimetto insieme, grazie all’insistenza di mio marito, i pezzi di quello che avevo scritto e cancellato, o meglio scritto e strappato. Uno scritto che era il mio primo tentativo di dire con la mia voce, chi credevo di essere, voce che, anni dopo, mi dicono essere una voce italo-americana.
Avevo evitato, fino ad allora, di scrivere memoirs anche se avevo già ricevuto una proposta, da una stravagante casa editrice. L’argomento doveva essere, secondo loro, i mafiosi della mia famiglia ‘…ed è anche una casa editrice molto importante!’
Ho rifiutato. Qualche tempo dopo Rosemary, e i suoi, della Dutton, mi chiedono di scrivere un memoir. Vuole pubblicare un memoir scritto da una donna italo-americana. Conosce il mio saggio “ …Puttana…” ed io accetto, non perché voglio scrivere la storia della mia vita, ma solo perché ho un altro libro Conceived with Malice a cui voglio trovare una casa.
Portrait of Puttana…. e Conceived with Malice sono simili a due memoirs.
Vertigo, invece, è il compito a casa che mi ha resa una memoirist; che mi ha catapultata nel mondo della letteratura italo-americana; che ha cambiato la percezione che ho di me stessa e dichiarato che, sì, ero una italo-americana – ma anche, quasi no.
A quel tempo avevo già incontrato Edvige Giunta.
<dialogo confuso con Edvige Giunta>
Ricordo d’essere andata a casa sua, ricordo di averle inviato Vertigo, ricordo di aver letto il suo lavoro, ricordo come mi abbia fatto conoscere altri scrittori e storici italo-americani. Scrittori e storici della emergente Disciplina di Studi Italo-Americani. La vedo costruire una comunità. Senza Edi, senza il suo lavoro, chi sa?
Uno di quegli incontri casuali o non tanto casuali che cambiano le vite.
Poco dopo Jennifer Cuomo mi chiese di scrivere un pezzo per il suo libro Are Italians White? (Gli italiani sono bianchi?). Non ho molto tempo, sto lavorando a un altro progetto. Non so nulla sull’argomento, così faccio quello che ho sempre fatto, quando voglio scrivere per qualcuno ma non ho tempo. Scelgo una cosa piccola, i documenti di naturalizzazione di mia nonna e sto a guardare dove mi portano. Non li avevo neppure guardati ma quando lo faccio è una rivelazione.
Trovo una voce che cataloga la pelle. Una voce per il colore: ‘bianco’. Una voce per la carnagione: ‘scura’. Ma vedo anche che, nella foto che la ritrae, allegata alla pagina, mia nonna non è affatto scura.
Cosa può voler dire questa carnagione bianca ma scura? Perché chiamarla scura?
Questo è l’inizio di una nuova fase della mia ‘acculturazione’: trovare una risposta a questa domanda. Ciò mi porta a studiare il sud, a scrivere Crazy in the Kitchen che parla dei miei antenati del sud Italia. Durante questo percorso ho scoperto che i miei nonni venivano dalla Puglia. Mia nonna, o meglio la nonna non di sangue, perché mia nonna, quella biologica morì durante l’epidemia di influenza, veniva da Rodi Garganico nella penisola Garganica. Mio nonno da Vieste, anch’esso sul Gargano. Scoprire da dove venivano è stato un evento epocale per me, perché non ho mai saputo che venivano dal sud e non ho mai saputo che eravamo pugliesi.
Puglia, un posto che non è stato mai nominato in casa. Una volta ho chiesto alla nonna da dove venisse. ‘Rudi Garn…Rudi Garn’. Un posto che non riesco a decifrare, un posto che non riesco a capire se detto in dialetto oppure se è quel posto sulla mappa: Rodi Garganico, un posto, un villaggio, un universo in questo mondo.
Nel tentativo di scoprire il passato dei miei nonni ho letto una gran quantità di libri sulla diaspora dell’Italia Meridionale, che alcuni chiamano ‘migrazione’… anche se non lo era. Infine, mi imbatto in un libro che mi svela la vita di mio nonno. Di Frank M. Snowden Violence and the Great Estates: Apulia, 1900-1922.
Grazie a questo libro, che descrive la vita brutale e i maltrattamenti subiti da coloro che lavoravano la terra in Puglia, posso cominciare ad immaginare la vita di mio nonno. Leggendo ho imparato quello che mi è stato nascosto, ho imparato quello che non so di queste persone che sono i miei progenitori. Ho imparato cosa significa essere un italiano del meridione. In particolare, cosa significa essere poveri, braccianti e pugliesi all’inizio del ventesimo secolo.
Ho appreso così tanto di ciò che ignoravo, e come ho detto ai miei studenti, più volte di quante ne ricordi, la parte difficile nello scrivere memoirs, come lo faccio io e come invito i miei studenti a fare, è che impari tutto ciò che ti serve sulle persone ormai morte, dopo che sono morte. Questo ti lascia la consapevolezza di aver ricevuto il grande dono di capire quello che è accaduto loro, ma di vivere anche una tragedia. Uso la parola tragedia perché è adeguata, la grande tragedia di non aver potuto partecipare empaticamente a quello che avrebbero potuto raccontarti se solo avessero potuto, …avuto il coraggio. Così ora intravedi chi erano, ma non ci sono più. Penso che, se c’è questo senso di perdita alla base dei miei lavori, è perché tutto ciò che ho imparato della mia gente, tutto ciò che mi serviva sapere, l’ho saputo dopo che loro erano spariti. Perciò, in un certo senso, il lavoro della mia vita è stato tutto un Chasing Ghosts (Rincorrere i fantasmi) dei miei antenati.
Sono venuti in molti negli Stati Uniti. Tutti i figli di una diaspora, di qualsiasi diaspora comprendono che dopo aver fatto quanto era possibile, tutto ciò che ci resta sono semplicemente i fantasmi del passato. La sfida è che nonostante quanto abbiamo imparato, sappiamo in verità di non sapere nulla. Io non so profondamente cosa significasse, per i miei nonni, essere meridionali italiani. Solo i miei nonni, che non potevano scriverne perché non sapevano scrivere e non potevano parlarne, perché non sapevano come parlarne, ne conoscevano il significato.
Bene! quello che so fare e posso fare è rendere loro omaggio immaginando cosa deve essere stato per loro, ricordando quello che non so e che non potrò mai sapere.
Il progetto di vita di questo pover’uomo, fin da bambino, era sperare che un giorno, uno del suo sangue potesse andare a scuola. Il progetto di vita di questa povera donna, la mia nonna acquisita, era venire a sposare un uomo che non conosceva e che non l’avrebbe mai amata.»
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